Di Erica D’Aguanno in collaborazione con Marina Baldi

Il tumore viene spesso definito “malattia del DNA”, perché la sua insorgenza è connessa ad una serie di mutazioni del codice genetico. Il DNA è la molecola che contiene tutte le informazioni necessarie alle cellule per svolgere funzioni, per comunicare tra loro, per dividersi e molto altro, è una specie di manuale d’istruzioni delle cellule, di conseguenza un errore in questo manuale compromette il loro equilibrio. Avvenimenti sporadici e casuali possono indurre una cellula a comportarsi in modo aberrante, queste alterazioni generalmente vengono scovate dai sistemi di controllo per essere eliminate e tutto si risolve senza gravi danni. Il problema nasce quando una cellula riesce a superare questi controlli, a sopravvivere e, soprattutto, a moltiplicarsi, creando altre cellule con il suo stesso comportamento e capaci di alterare l’organizzazione dell’organo in cui proliferano.

Ma quali sono le cause delle mutazioni nel DNA?
Alcune mutazioni insorgono in modo naturale: per errori di replicazione e riparazione del DNA, o per opera di alcuni prodotti del metabolismo cellulare, come i radicali liberi.

Perché una cellula manifesti le caratteristiche tipiche di una cellula tumorale le mutazioni devono essere molteplici e sequenziali, cioè si verificano una dopo l’altra nell’arco di anni, per questo il tumore è una malattia tipica della vecchiaia. Tuttavia esistono fattori ambientali associati all’insorgenza di mutazioni somatiche, come l’esposizione ad agenti chimici e fisici (per esempio dagli anni ‘90 si è cominciato a smaltire l’amianto poiché si è visto che l’inalazione delle polveri causa il tumore al polmone) o ad agenti biologici, un esempio degno di nota è il tumore al collo dell’utero causato da alcuni sottotipi del Papilloma virus (HPV), ma anche uno stile di vita e un’alimentazione poco salutari giocano un ruolo determinante.

Nonostante la maggior parte dei tumori sia di natura sporadica, è noto che circa il 5-10% di tutti quelli diagnosticati sono di origine ereditaria, questo significa che una mutazione in un gene cruciale per la cellula era già presente nelle cellule germinali di un genitore del soggetto malato.

Il dottor Paul Broca, nel 1866, fu il primo ad ipotizzare l’esistenza di famiglie a rischio osservando la famiglia della moglie in cui, nell’arco di poche generazioni, si erano manifestati 10 casi di tumore mammario. Dalla seconda metà del ‘900 si sono susseguiti studi epidemiologici che hanno rafforzato l’ipotesi del dottor Broca, fino ad arrivare alle moderne tecnologie di sequenziamento high-throughput che ci hanno addirittura fornito le sequenze delle mutazioni patologiche.

Nel corso degli ultimi decenni si sono potute quindi delineare le caratteristiche di una famiglia a rischio (tra le quali: insorgenza precoce della malattia, più parenti stretti affetti, presenza di tumori multipli) e i geni coinvolti, anzi, proprio lo studio di queste famiglie ha fornito numerosissime informazioni per capire la biologia molecolare del cancro. Le mutazioni che portano una cellula ad un comportamento tumorale avvengono sui proto-oncogeni (generando una sovrapproduzione della proteina corrispondente o una proteina iperattiva) e sugli oncosoppressori (che vengono disattivati).

Il 10% dei tumori al seno e all’ovaio sono di origine ereditaria e le mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 sono stati identificati come principali cause (Gen. Med. 2010; 12: 245-259). Questi due geni sono oncosoppressori e si trovano rispettivamente sui cromosomi 17 e 13, le proteine per cui codificano intervengono nel processo di riparazione delle rotture a doppio filamento del DNA. BRCA1 e BRCA2 sono geni molto grandi, le mutazioni sono eterogenee e sparse su tutta la loro lunghezza, il che comporta che lo screening sia un processo molto articolato e che richieda l’uso di tecnologie avanzate.

I test genetici predittivi aiutano a identificare i soggetti a rischio in una famiglia.
Il medico curante o il genetista può suggerire un test genetico specifico quando si ha il sospetto che il tumore sia di tipo germinale. Continuando con l’esempio del tumore mammario ed ovarico, per individuare la mutazione è necessario procedere per step, inizialmente bisogna scegliere il soggetto fra i componenti del nucleo familiare che presenta più caratteristiche cliniche e sottoporlo per primo al test.

Il test deve analizzare più geni e non solo BRCA1 e BRCA2. Una volta che la mutazione è nota si potrà continuare l’indagine sugli altri componenti della famiglia e verificare se ci sono soggetti a rischio.
Il test genetico viene eseguito attraverso un prelievo di sangue o un tampone boccale, poiché, trattandosi di una mutazione ereditaria, essa sarà presente nel DNA di tutte le cellule nucleate dell’organismo. Se il test su un soggetto sano dà un risultato positivo non vuol dire che questi ha ereditato la malattia, ma che già un gene su due è mutato e quindi entrerà in un programma di sorveglianza sanitaria per prevenire o individuare precocemente l’eventuale formazione del tumore.
L’esito negativo su un soggetto sano significa che la mutazione non è stata ereditata ed il paziente ha lo stesso rischio della popolazione generale di sviluppare quello specifico tumore, ma deve comunque sottoporsi ai controlli standard.

Conoscere la mutazione in soggetti affetti dalla malattia permette di stabilire trattamenti personalizzati (per esempio le portatrici di variante in BRCA1 o BRCA2 rispondono bene a determinati tipi di chemioterapia) o l’intervento chirurgico da effettuare.

Un test genetico può quindi aiutare sia a capire il rischio del soggetto malato che di tutta la famiglia.

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